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L’interesse particolare di Mario Candotti per la Resistenza in Friuli

Quindi, come brevemente accennato, questo è lo schema strutturato secondo cui Mario Candotti ha condotto le sue interviste. Queste ultime, che saranno qui riproposte integralmente, sono state riordinate in ordine alfabetico, tenendo fede, nella loro composizione e stesura, del lavoro originale. Per una comprensione più efficace dei punti elenco sprovvisti di quesito diretto, si rimanda al questionario sopra riportato.
Non sono state apportate modifiche significative, se non qualche refuso corretto tra parentesi, e non sono stati riportati alcuni dati come numeri di telefono, indirizzi e annotazioni a margine, per cui si rinvia alla lettura completa della documentazione presente nell’archivio del IFSLM di Udine, Fondo “Mario Candotti”.
Tali testimonianze, rappresentano un importante contributo poiché attraverso la loro lettura è possibile comprendere non solo aspetti più dettagliati della lotta di liberazione in Friuli, ma anche la storia personale, le scelte e le vicende che hanno caratterizzato la vita partigiana di questi individui.
La strutturazione delle interviste, basata sui quesiti previsti dal questionario sopra riportato, traccia, nella maggior parte dei casi, un percorso di ricostruzione storica collettiva che consente di approfondire diversi elementi che hanno caratterizzato il vissuto partigiano del soggetto intervistato, come ad esempio: l’estrazione sociale e le condizioni economiche della famiglia; la situazione militare dell’epoca; l’esperienza vissuta durante il 25 luglio e l’8 settembre 1943; la motivazione che ha portato alla decisione di diventare partigiano e attraverso chi; la preparazione e l’organizzazione politica e militare del reparto di appartenenza; le azioni compiute durante la lotta di liberazione e, di particolare interesse, l’esperienza vissuta durante i rastrellamenti tedeschi.
A questi casi si affiancano testimonianze che invece, per interesse particolare di Mario Candotti, sono mirate al racconto di casi specifici. Ne sono un esempio: l’intervista di Mario Lizzero “Andrea” a cui, in quanto Commissario della Divisione «Garibaldi-Friuli», vengono chieste informazioni in merito alla vita e ai movimenti (nel periodo che intercorre tra il gennaio e l’ottobre del 1944) del Comando della Brigata «Garibaldi-Friuli» diventato poi Comando Gruppo Brigate «Garibaldi-Friuli»; quella di Ferdinando Mautino “Carlino” (C.S.M. della Brigata garibaldina “Natisone”) – mirata a ricerche sulla Brigata “Picelli-Tagliamento” – che racconta l’esperienza vissuta, il 19 febbraio 1945, durante un rastrellamento cosacco-tedesco e, infine, la testimonianza di Sergio Visintin “Rino” che attraverso le sue memorie ricorda il programma studiato durante il corso quadri e l’attacco alla base di Tolvis del 2 marzo 1945, portando alla luce drammatici episodi.
L’interesse di Mario Candotti, però, non si sofferma unicamente sull’analisi di esperienze partigiane specifiche come i casi sopra riportati, ma si orienta anche su profili che raccontano l’esperienza della Resistenza attraverso ricordi, propri o tramandati, dal punto di vista della popolazione.
Vittorio Bortolin, venuto a conoscenza di questo episodio grazie al racconto di un parente della moglie presente nel luogo all’epoca, ad esempio, narra di un caso di collaborazione con i partigiani a Ponte di Corva il 25 marzo 1945 che a causa di un’azione di spionaggio vide, per opera delle bande nere, la barbara uccisione di tre partigiani.
Trevisan Tommaso, invece, nel suo racconto mette in luce le tragiche ripercussioni della collaborazione con i partigiani: la famiglia, proprietaria di un mulino ad Azzano X, aveva trovato il modo di rifornire i partigiani senza destare troppi sospetti, ma a seguito di un’inchiesta operata dai tedeschi fu scoperta e dopo un feroce interrogatorio lo zio di Tommaso trovò la morte, così come il fratello sacrificatosi per salvare il padre.
Le esperienze appena descritte mettono in rilievo la difficile condizione della popolazione
all’epoca, sottoposta a paura e terrore psicologico.
Approfondendo la lettura delle testimonianze che presentano un percorso collettivo, oltre al particolare interesse destato dall’esperienza personale di ogni intervistato, si può affermare che emergono degli elementi comuni, così come dei tratti distintivi.
Partendo dall’analisi di ciò che si può riscontrare nella maggior parte delle interviste è, innanzitutto, l’estrazione sociale popolare di appartenenza, sia dell’individuo intervistato che della composizione dei reparti partigiani, ma anche la condizione economica medio-inferiore (fatta eccezione per qualche caso) delle famiglie, o comunque quella personale.
Un altro elemento comune è l’appartenenza ad un reparto militare e la conseguente fuga dopo l’8 settembre, fatta eccezione per Egidio Belluz “Furia”, in quanto non era un militare perché non ancora in età di leva. A questi se ne possono aggiungere diversi, come l’opinione diffusa relativamente alla collaborazione della popolazione prima dei rastrellamenti e il distacco per paura e terrore successivi (in alcuni casi si afferma che per necessità la gente fu costretta a collaborare), la mancata conoscenza di armi e organizzazione militare nel reparto di appartenenza, l’assenza di rapporti problematici con il clero e tra le formazioni garibaldine e osovane (ad esclusione di qualche screzio) oppure le privazioni, le perdite e le difficoltà vissute durante i rastrellamenti tedeschi.
Quello su cui ci si vuole soffermare con più attenzione, invece, sono i tratti distintivi che differenziano le diverse esperienze. La maggior parte di questi si può ritrovare nella storia personale che caratterizza ogni individuo, a partire dalle esperienze vissute a seguito della caduta del fascismo e dello sfascio dell’8 settembre, il racconto dettagliato della vita in battaglione, i ruoli e le responsabilità assunte, la collaborazione tra i reparti, con le donne, con la popolazione, la capacità di far fronte alle difficoltà relative alla mancanza di mezzi e alla latitanza con il continuo timore di essere catturati dai reparti nazifascisti, le esperienze di vita nel dopoguerra.
Un elemento interessante è da ritrovare nella scelta di diventare partigiano e in quali modi, oppure attraverso chi, questa si è concretizzata. In particolare notare come, nella maggior parte delle testimonianze, questa decisione sia dettata da motivazioni molto diverse tra loro. Marcello Alfenore “Bruto”, ad esempio, a seguito della sua esperienza come militare nella campagna di Russia provava ormai ripudio per la guerra, ma dopo l’emanazione dei bandi di leva obbligatori nell’ottobre del 1943 e dopo aver preso contatti con un partigiano di nome “Franco” <139, decise che era necessario reagire per scacciare i tedeschi dal territorio italiano al fine di acquisire indipendenza e libertà democratica.
Belluz Egidio “Furia”, invece, entrò nelle fila partigiana sotto l’impulso di Antonio Zanella “Anthos” che grazie alla sua attività di propaganda spiegò a un gruppo di giovani di Azzano Decimo, luogo di provenienza di Egidio, l’importanza e le motivazioni della lotta partigiana, portandoli così ad organizzare un gruppo per la raccolta di armi abbandonate e a dare inizio alla resistenza passiva contro i nazifascisti.
Gino Bidinot “Frin” afferma che alla base della sua scelta non ci fu nessun motivo politico o ideologico perché all’epoca troppo giovane e senza esperienza.
Mario Carli “Fulvio” fu invece spinto a prendere tale scelta da una particolare storia familiare: il padre, comunista, era stato condannato dal tribunale speciale nel 1931 <140 e spedito al carcere di Regina Coeli. “Fulvio” sostiene che la sua decisione nacque dalla volontà di un concreto cambiamento, trascendendo dalla formazione culturale e politica nel tentativo di modificare la situazione esistente all’epoca.
Similare l’esperienza di Mario Maschio “Pipetto”: il fratello prigioniero in Germania e il padre considerato un comunista e per tale ragione continuamente vessato. Tale situazione lo spinse, insieme allo spirito di avventura, a liberare il fratello e il padre da, come da lui definito, quell’incubo di una continua persecuzione.
C’è chi, invece, come Riccardo Rosa “Asso”, fu motivato da principi ideologici in quanto iscritto al Partito Comunista dal settembre del 1943.
Altrettanto interessante è la testimonianza di Giovanni Zanella “Ulisse” in quanto, già dal 12 settembre 1943, fece parte di un gruppo di giovani volontari con spirito resistenziale che agivano in stazione di Pordenone al fine di liberare dai vagoni dei treni diretti in Germania i soldati italiani tenuti prigionieri dai tedeschi.
Tutte queste testimonianze, diverse tra loro per storia personale e contenuto, rappresentano l’importante lavoro di raccolta biografica svolto da Mario Candotti. Consentono di approfondire da vicino tutti quei dettagli che hanno caratterizzato la storia di alcuni partigiani friulani e più in generale il contesto della Resistenza in Friuli, permettendo non solo di operare una ricostruzione storica basata su delle esperienze di vita vissuta, ma anche di rievocare preziosi ricordi e memorie, per quanto vadano ovviamente verificati, riscontrandoli con altre tipologie documentali e con la letteratura in materia.
[NOTE]
139 Probabilmente si tratta di Ostelio Modesti, futuro segretario della Federazione del Pci di Udine. Salvato a Gorizia dalla infermiera Maria Antonietta Moro e portato nella abitazione della famiglia Moro a Fiume Veneto, fu poi trasferito per cure in una località della bassa Sanvitese. Cfr. inoltre la successiva testimonianza di Mario Carli e, inoltre, Luigi Raimondi Cominesi, Modotti Mario “Tribuno”. Storia di un comandante partigiano, Udine, Ifsml, 2002, pp. 44-46.
140 A differenza di quanto ricorda il figlio Mario, l’arresto ed il processo al padre e all’organizzazione comunista di Pordenone avvennero nel 1931: cfr. Archivio Centrale dello Stato, Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato, Esecuzioni, b. 52, f. 1708, Carli Vittorio.
Gioia Vazzaz, Soggettività e oggettività nell’opera storiografica di Mario Candotti, Università degli Studi di Trieste, Anno accademico 2021-2022

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